In precedenza ho avuto modo di definire il Kyudô un tiro con l’arco più filosofico che pratico, direi che questa definizione deve essere precisata.
Dopo 15 anni di pratica con l’arco giapponese, ho avuto modo di fare qualche prova con un arco occidentale, cosa non ancora accaduta precedentemente, tirando queste poche frecce mi è venuto da considerare i due “mondi” che avevano prodotto due strumenti simili partendo da diverse mentalità.
Nella società occidentale, quando si studia e si costruisce qualcosa, si fa in modo di ottenere un oggetto, soprattutto quando si tratta di uno strumento, che alleggerisca l’essere umano, cioè l’oggetto di per se compie il lavoro e chi lo utilizza ha il compito di dirigerlo nel modo corretto, in effetti con i pochi tiri che ho fatto sono riuscito ad avvicinarmi in un certo modo al bersaglio, la freccia volava diritta e veloce senza alcuna regola particolare, tenendo sempre presente che ci vuole concentrazione e precisione, doti che nell’arceria non mancano mai, nel posizionamento dell’arco sulla traiettoria del bersaglio, un attrezzo per cogliere il centro, se poi si considerano gli archi più tecnologici, la possibilità di aggiungere elementi come pesi o mirino, il fatto che una volta capito l’attrezzo lo si può subito adattare al proprio stile, è chiaro che in poco tempo si possono avere belle soddisfazioni. Parlando poi in generale per strumenti più o meno complessi, il loro utilizzo è spiegato in svariati manuali di istruzioni, che non possono certo essere equiparati, anche se voluminosi, a opere letterarie.
Per l’arco giapponese la situazione è molto diversa, quello usato normalmente nella pratica (notare che esistevano anche altri tipi di arco, diffusi in maniera minore, e che in Giappone ci sono altre scuole per utilizzare l’arco) è essenzialmente un’asta tradizionalmente di bamboo e legno, costruita con regole antiche, mantenendo sostanzialmente la forma degli archi da battaglia medioevali, non è possibile aggiungere alcun elemento per agevolare il tiro, quelli ora comunemente utilizzati nella pratica del Kyudô hanno una forza alla trazione non molto elevata, visto che devono impegnare l’arciere solo per l’esecuzione della tecnica corretta, l’idea è che lo strumento renda visibile lo stato mentale dell’arciere, che si riflette nel fisico, per la mentalità orientale mente e corpo sono uniti.
Quindi non si punta su un miglioramento del mezzo che, una volta non utilizzato, non serve più, ma su un miglioramento dell’essere umano, il quale porterà quel miglioramento al di là del mero utilizzo di un oggetto.
Partendo da questo presupposto si deve considerare che il solo scopo del Kyudô attuale è formativo per la persona, il metodo non si applica al di fuori di un Dojo, è una ricerca del particolare, qui ci si trova di fronte a una grande quantità di regole, e il vero centro si colpisce solo dopo aver eseguito tutte queste, ma qui non si può parlare di un manuale di istruzioni, visto che si deve procedere più per sensazioni, allora vengono fornite scritte alcune regole generali, che vertono più sulla filosofia dell’utilizzo, piuttosto di una descrizione puramente tecnica, per questo si possono leggere queste opere anche se non si deve utilizzare l’attrezzo, e grande importanza ha l’insegnamento.
In questo contesto si può arrivare a comprendere che, quando si arriva ad un grande affinamento della tecnica, non ci sono più parole vere e proprie per descrivere la profondità di sensazioni, quindi i più grandi Maestri di quest’arte hanno lasciato delle poesie e dei veri e propri discorsi filosofici per rendere l’idea di ciò che dovrebbe essere, il vero significato si può comprendere solo dopo diversi anni di pratica.
Ovviamente questa è la condizione ideale, visto che pochi arrivano così a fondo dell’arte, e si ha veramente bisogno di un buon Maestro, nel caso restassero solo i testi scritti sarebbe molto difficile risalire a una tecnica corretta, che si fonda proprio sulla trasmissione diretta da persona a persona.
A mio parere il concetto generale può spiegare anche il fatto che la frequenza di innovazioni tecnologiche, almeno in passato, era più un fattore occidentale che orientale, visto che in occidente si tende a migliorare solo l’oggetto, anche con piccoli elementi, mentre in oriente, puntando di più sull’utilizzatore, una volta ottenuta una forma ottimale dello strumento, la si lascia inalterata anche per lungo tempo, quindi le migliorie tecnologiche sono più lente o addirittura giudicate inutili.